Tuesday, September 19, 2006

Lucifero

Un giorno si accorse di questo: che doveva scegliere tra la musica e lei.

Non era un musista nè un compositore nè un artista, e per una volta il dilemma tra carriera e amore non c’entra niente: era semplicemente (si reputava essere) un uomo di pensiero che non avrebbe lasciato nè opere nè particolari segni del suo passaggio, e che peraltro faceva un lavoro stupido e alienante: ma era, pensava, un uomo di pensiero lo stesso.

Nel suo caso era un uomo di pensiero che trovava il suo imperativo morale nell’ascolto della musica classica, dunque – e non lo si neghi – in ciò che l’ascolto della musica classica talvolta comporta: astrazione, talvolta perdizione, senz’altro solitudine.
Ecco: lui si accorse che doveva scegliere tra la solitudine e lei.
Sapeva che la solitudine aveva già distrutto fior d’uomini di pensiero (Pascal e Nietzsche, per esempio) ma riteneva che solitudine e separatezza fossero degne di un uomo di pensiero più di quanto potessero esserlo le seducenti dolcezze della vita: tipicamente le donne e poi gli status sociali e il potere e il denaro e insomma tutto il bagaglio di quegli uomini che invece non lo erano, di pensiero: ma che ugualmente sarebbero stati scaraventati in una fossa. Ignobile.

Alla fine sposò una somala.
Non fu un caso: aveva cercato anche in Brasile ma poi aveva trovato questa somala di 23 anni. In sostanza aveva scelto la musica, e mandato al diavolo la sua precedente fidanzata: ma aveva anche pensato che la sua solitudine dovesse essere perlomeno accarezzata da una musa, da una femmina che per cultura gli fosse grata e obbediente. Bellissima, ovviamente. Altrimenti era da scemi.

Ma le cose andarono diversamente.
Accadde questo. Un giorno se ne stava a leggere e intanto ascoltava il Tristano di Wagner. Lei gironzolava. I loro occhi s’incrociarono quasi per caso, ed ecco, lui quello sguardo non l’avrebbe dimenticato più.
Difficile da spiegare. Stava succedendo qualcosa: lei stava perdendo la sua espressione spaesata e timorosa, e stava come recuperando una selvatica fierezza. Capitò altre volte e poi altre ancora. Ogni volta quegli occhi lo fissavano come per dire: “Guardati, e guarda noi due, ci stai guardando?”. E lui ogni volta leggeva in quello sguardo un’impietosa misura del suo presente, un qualcosa che soppesava l’istante che entrambi stavano vivendo: e andava nel panico. Non ci era preparato. Lui nel presente non c’era mai stato: era stato nel passato, piuttosto nel futuro, insomma era stato ovunque la musica l’avesse ogni volta proiettato: purchè non lì.

Col tempo gli occhi di lei si fecero sempre più vivi.
Cercò di distrarla, di convertirla alla musica. Un giorno la fece sedere sul divano. Lei acconsentì, pacifica. Lui scelse il preludio del Lohengrin e lei disse infine, e solamente: “Ma è triste”.

Lui ascoltò musica sempre meno.
Ogni tanto incrociava quegli occhi che ogni volta vivevano il momento, e che lo costringevano a concentrarsi sul presente, sull’oggi. Prese via via a spegnere la musica. Prese a farlo anche durante e dopo l’amore. Si fece taciturno.

Un giorno avevano appena finito di fare l’amore e lui era tramortito e meditabondo come tipicamente sono gli uomini dopo l’amore: e di musica non ve n’era, ma lui aveva gli occhi persi di quando l’ascoltava. Lei gli si avvicinò, e con un tono di affettuoso rimprovero gli chiese amorevolmente: “Ma perchè pensi?”.
Lei aveva occhi luciferini. Lui non ascoltò musica mai più, e non fu mai più un uomo di pensiero, anche se divenne più felice.

di Filippo Facci

1 Comments:

At 25/9/06 5:20 pm, Blogger Buridone said...

NY152...MI TENTI...MA CI DEVO RIFLETTERE...

 

Post a Comment

<< Home