Tuesday, April 24, 2007

I Like the... cara vecchia...Telecom!

Assemblea Telecom Italia 16 aprile 2007, Rozzano.

Intervento di Beppe Grillo.

Avrei voluto postare subito dopo, ma meglio tardi che mai; anzi ho scritto questo in più giorni nei ritagli di tempo e ho dovuto eliminare i video di Grillo perchè battuto sul tempo da Balck Paul che non si è accorto del mio post in bozza; lascio quindi a lui la cronaca e mi dedico ad una breve analisi con qualche becero commento.
Il caos regna ancora sovrano in casa Telecom e l'unico dato certo è la quotazione del titolo in borsa. Non male in grafico che analizza l'andamento degli ultimi 5 anni.


Dalle prime proposte giunte da oltre oceano, tese a rilevare il 33% di Olimpia e che tanto spaventano l'opinione pubblica spuntano ora grossi gruppi capeggiati dai soliti noti che si dichiarano interessanti ma hanno l'aria ben poco convinta di chi aspetta per vedere che cosa succede. Tra questi Berlusconi e Colaninno; sul primo non avevo dubbi, ma il secondo è un rigurgito fatale.
I nostri politici di sinistra, tornati al Governo dopo l'alternanza democratica che caratterizza questa seconda repubblica, artefici della privatizzazione dell'azienda ora tacciono e lavorano in silenzio per cercare di pilotare una situazione senza controllo, per ora sono riusciti a far scappare AT&T.
La nostra rete, come sostiene il ragionier Grillo, versa in condizioni pietose ma rimane appetibile perchè genera un flusso di cassa continuo che non può di certo calare nel tempo; Telecom è assimilabile ad una Utility. Parte di questo flusso, generato dall'incorporo di TIM, in parte giustificato dalla necessità di coprire le vendite di svariati elementi strutturali alla Pirelli (commento fazioso e ardito), non ha potuto evitare un indebitamento record, parte ereditato dall'era Colaninno-Gnutti, anzi lo ha inevitabilmente peggiorato. L'azienda era appetibile nel 2001 con 15 miliardi di debito ed il leveraged buy out si propone nuovamente all'orizzonte come unica soluzione di cessione del pacchetto azionario di Olimpia. Niente di nuovo quindi all'orizzonte, se non l'ingresso di gruppi stranieri nella nostra rete. Di male in peggio direi.
Dal canto suo Tronchetti esprime il suo giudizio sull'ultimo travagliato anno di Telecom, stigmatizzando «l'insieme di luoghi comuni che hanno cercato di svilire il lavoro della società», parlando di una «fase anomala dal punto di vista mediatico», di «molti dibattiti e interpretazioni avvenuti con molta ignoranza», nonchè di «posizioni prive di senso che hanno portato a un'atmosfera Cirio-Parmalat like, quando invece non c'era niente che rendesse Telecom assimilabile «a tali casi». In sintesi, «sono stati alterati alcuni fattori di fondo», ha quindi concluso Tronchetti rivendicando invece, «con un certo orgoglio», «l'ottimo lavoro svolto dal punto di vista gestionale» e ringraziando per questo «tutti i collaboratori che vi hanno contribuito». Quindi tutto bene no?

Tralasciamo ovviamente lo scandalo intercettazioni perchè fuoriviante nel contesto macroeconomico della discussione affrontata e andiamo per gradi, Telecom non è certo un esempio positivo di privatizzazione.
Sotto la presidenza di Guido Rossi, (e Guido c'è...) il 20 ottobre 1997 viene attuata dal governo la privatizzazione della società: dalla vendita del 35,26% del capitale si ricavano circa 26.000 miliardi di lire. La privatizzazione, che comporta la quasi totale uscita del Tesoro, viene realizzata con la modalità del cosiddetto nocciolo duro: si vende cercando di creare un gruppo di azionisti che siano in grado di farsi carico della gestione della società. A causa della scarsa risposta degli investori italiani il nocciolo duro è in realtà un nocciolino duro: il gruppo con capofila gli Agnelli riunisce solo il 6,62% delle azioni e si rivela molto fragile.

A partire dal febbraio 1999 la Olivetti attraverso la Tecnost di Roberto Colaninno, finanzia la scalata, complessivamente 61.000 miliardi di lire, Tecnost li riceve in prestito direttamente dalle banche e, con obbligazioni, emette anche nuove azioni per oltre 37mila miliardi. Successivamente Tecnost viene fusa con Olivetti per accorciare la catena di controllo. A questo punto è Bell, una società con sede nel Lussemburgo a controllare la catena con il 22% di Olivetti.

All'inizio del 2001 il gruppo Olivetti-Telecom è in grandi difficoltà e Colaninno, Gnutti e i loro soci sono costretti a passare la mano. Dopo diverse trattative viene trovato un accordo con Tronchetti Provera e Benetton. Per il 23% della Olivetti (posseduto da Bell) i nuovi proprietari di Telecom Italia pagano 4,175 Euro per azione, una cifra enorme considerando che le Olivetti quotavano solo 2,25 Euro.

Dal luglio 2001 Telecom è controllata dalla finanziaria Olimpia, partecipazione di Pirelli (al 60%), Edizione Holding dei Benetton, Banca Intesa e Unicredito, a cui in seguito si è aggiunta Hopa, la holding bresciana di Gnutti (tramite Holinvest, scatola cinese (vuota) attraverso la quale Hopa detiene il 3.7% di Telecom Italia). Escono da una parte e rientrano dal retro.

Per accorciare la catena di controllo viene decisa, nel 2003, la fusione della controllante Olivetti con Telecom Italia.... e la scatola cinese si ripete e si infittisce.


Sintetizzando in soldoni: prima l'azienda è stata messa in mano a un gruppo di controllo del 7 per cento, che con quattro soldi si è impadronito di una società da centomila miliardi. Poi questo preteso "nocciolo duro", che in realtà era un "nocciolino molle", è risultato vulnerabile a una scalata condotta all'insegna del leveraged buy out, un sistema spesso usato negli anni '80 in America e poi accantonato spontaneamente dallo stesso capitalismo Usa, quando si è visto che distruggeva valore invece di crearlo.
Il leveraged buy out è la scalata di una società da parte di chi non ha di suo fondi sufficienti per comprarla, ma suppone di poter ripagare il debito contratto per finanziare l'affare traendo risorse dall'impresa di cui acquisisce il controllo. Di solito succede poi che lo scalatore smembra l'azienda conquistata e ne rivende i pezzi, in modo da estinguere i debiti e lucrare un buon guadagno. Lo faceva anche Richard Gere in Pretty Woman ricordate? Roba vecchia. Ma è qua che entra Tronchetti, la furbata non è smembrarla, ma vendersela a pezzi (Telecom vende, Pirelli compra) tappando il buco incorporando TIM, elemento cardine che esce ed entra come una Cenerentola dal gran ballo con il principe azzurro, Tronchetti per l'appunto... e ci lascia pure la scarpetta. La fusione Telecom-TIM è finanziata con un mutuo di una cordata di banche, nella misura maggiore da Banca Intesa. Il costo necessario per rastrellare le azioni TIM dal mercato eleva l'indebitamento di Telecom da 29 a 44 miliardi di euro, e così è tutt'ora. Quindi Telecom ha subito nel complesso 2 Leveraged Buy Out, con successivi allungamenti della catena di controllo (scatola cinese) e accorpamenti e svendite di pezzi di azienda.

Oggi, quanto a eventuali progetti di scissione sulla Bicocca, Tronchetti, rispondendo alla domanda di un azionista, ha assicurato che "Non esistono ad oggi progetti in merito" tuttavia "eventuali operazioni sul capitale Pirelli saranno fatte nell'interesse della totalità degli azionisti".

Siamo solo all'inizio, che la saga continui e sono pure curioso di vedere il nuovo CDA.

2 Comments:

At 25/4/07 2:20 pm, Blogger Black Paul said...

OT: pardon.. non mi ero accorto della bozza...

 
At 28/4/07 10:49 am, Blogger Mr. McMouth said...

Mi complimento col capitano per la chiarezza della spiegazione anche dal punto di vista economico.
Su Beppe Grillo aggiungo che forse la sua potrebbe rivelarsi a sorpresa la "strada giusta", quella cioè di cominciare a dar voce all'oltre 80% di azionariato diffuso (direi polverizzato) della telecom, che è il vero padrone dell'azienda.
Dopotutto Grillo stesso, da buon genovese, spiegava che un'azienda come Telecom fa circolare le sue azioni non per dividere gli utili, ma i debiti!!
Il gioco delle scatole cinesi del Tronchetto è volto a mettere meno capitali possibili in Telecom per acquisirne il controllo con pochissimo impegno finanziario (meno soldi investiti=meno rischio) e pian piano vendersi da sè (come venditore di telecom e acquirente da Pirelli o da qualche altra società) le parti di telecom che fanno utile, vendere ad altri soggetti quelle più appetibili sul mercato internazionale (ma che sono a rischio debiti o obsolescenza tecnologica), far ricomprare allo stato l'infrastruttura di linea, e tenersi gli utili di tutte le operazioni, lasciando all'azionariato diffuso le carcasse delle varie società, e utilizzando Tim (e il suo enorme flusso di cassa) per drenare risorse verso telecom, impoverendo anche quest'altra società "sana".
E, si badi bene, a me pare semplicemente scandaloso che ora lo Stato pensi di riacquistare le linee telefoniche: è un'infrastruttura che è stata creata negli anni quando la telecom (allora sip) era dello Stato, con soldi statali (quindi nostri), poi la società viene privatizzata (26.000 miliardi alla fine è stato un affarone per chi ha comprato), poi ci sono state varie altre vicende economiche, e alla fine lo Stato dovrebbe ricomprarsi - a caro prezzo - l'infrastruttura che nel frattempo, vista la mancanza di investimenti, è diventata tecnicamente antiquata. Mi sembra un'affarone. Come se io risparmio anni per comprarmi una bella macchina nuova, poi la compro, diciamo a 50.000 euro, e dopo un anno, quando è ancora nuova e fichissima, la vendo a 10.000 euro perchè ho bisogno di pagare qualche debito (=privatizzazione); poi dopo una decina d'anni, quando ormai è un vecchio scassone, me la ricompro sempre io a, diciamo, 50.000 euro!! Di nuovo!! Un affarone.
Lo Stato ha scelto di privatizzare: o è coerente su questa scelta, o accetta di porre vincoli all'acquisto di società di interesse nazionale - cosa che in America è perfettamente legale ed accettata ad esempio. Non credo che gli Americani accetterebbero, che so, di vendere ad una società cinese un importante produttore di armi strategiche....
In tutto questo, in tutta la manovra, quanto ci guadagna il Tronchetto e la sua cordata di banche? Ricordo che, gira e rigira, come cittadini o come azionisti telecom, i soldi che girano sono sempre quelli della gente.
In Italia davvero non riusciamo a fare impresa in maniera sana, con imprenditori che si prendono davvero gli utili ma anche i rischi di quello che fanno. Si va avanti a furbetti, a gente che "arraffa-arraffa per i giorni di magra!!". Per forza l'Italia fatica a rilanciare la sua economia, i manager hanno non meno di 50 anni, i giovani non lavorano e in parlamento siedono cariatidi come minimo settantenni! Prima di arrivare alla politica devi avere già percorso tutto il "cursus honorum" delle furbate e delle porcate!
Che tristezza. L'unica cosa a cui si punta è far fessi gli altri, non importa come.

 

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