O CAPITANO! MIO CAPITANO!
O Capitano! mio Capitano! il nostro viaggio tremendo è finito,
[poesia]
Quel che abbiamo letto di più bello lo dobbiamo quasi sempre ad una persona cara. Forse proprio perchè la peculiarità del sentimento, come del desiderio di leggere, è il fatto di preferire. Amare vuol dire, in ultima analisi, far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo. E queste preferenze condivise popolano l'invisibile cittadella della nostra libertà. Noi siamo abitati da libri e da amici...
FIRENZE - Il miglior vino del mondo? È un Brunello di Montalcino, uno dei più simboli del made in Italy. Lo ha decretato la rivista americana Wine Spectator, considerata la «bibbia del vino» a livello internazionale, che ogni anno stila la classifica delle 100 migliori bottiglie. Al primo posto dei top mondiali è infatti giunto il Brunello di Montalcino «Tenuta Nuova» 2001, prodotto dall'azienda Casanova di Neri di proprietà di Giacomo Neri. «E' una soddisfazione impagabile che mi riempie di gioia - ha commentato il produttore al sito internet www.winenews.it -. Abbiamo lavorato moltissimo in vigna e in cantina e questo premio ci ripaga di tutti i sacrifici di questi anni. È una vittoria - ha aggiunto Giacomo Neri - di squadra e soprattutto il riconoscimento della grandezza enologica di Montalcino». Nella classifica del Wine Spectator, da sempre uno dei verdetti più attesi nel mondo dell'enologia internazionale, giunge poi un altro importante riconoscimento per la Toscana e l'Italia. Al nono posto della Top 100 si è infatti posizionato il supertuscan «Il Blu», blend di Sangiovese (50%), Merlot (25%) e Cabernet Sauvignon (25%), prodotto dall'azienda toscana «La Brancaia».
Ma da questa «Top 10» (vedi sotto) esce anche un altro vincitore italiano: è l'enologo Carlo Ferrini, uno dei più famosi del nostro Paese, consulente di tutte e due le cantine nei migliori dieci vini del mondo, Casanova di Neri e La Brancaia: «Sono davvero felice, è un risultato strabiliante che premia due giovani aziende che si sono molto impegnate negli ultimi anni sul fronte della qualità estrema». Gli altri 90 vini della famosa classifica della rivista cult americana si conosceranno solo nei prossimi giorni su www.winespectator.com.
La “Top 100” di Wine Spectator ha debuttato nel 1988 ed è diventata una classifica davvero in grado di orientare il mercato di tutto il mondo. Gli esperti della rivista americana (tra cui James Suckling, che cura gli assaggi dei vini italiani ed europei) hanno degustato, per l’edizione 2007, oltre 12.000 vini. Ma l’ulteriore selezione è avvenuta anche secondo altri criteri: valore (prezzo), disponibilità (produzione) ed un “fattore x” che i giornalisti di “Wine Spectator” definiscono “excitement”.
Gli altri 90 vini della famosa classifica della rivista cult americana si conosceranno solo nei prossimi giorni su www.winespectator.com.
Il Consorzio del Brunello di Montalcino esprime grande soddisfazione per il primo posto del “Tenuta Nuova” Casanova di Neri: “è un premio che idealmente abbraccia tutta la denominazione - afferma Stefano Campatelli, direttore del Consorzio - e riconosce il lavoro di un territorio da sempre impegnato sul versante della qualità”.
13 novembre 1990, ore 15:17:00 GMT. Sedici anni fa. Questa è la data di ultima modifica della più vecchia pagina Web di Internet ancora esistente, che vedete qui accanto in tutto il suo spartano splendore e potete visitare qui. L'indirizzo non è più quello originale, ma il contenuto è invariato.
La pagina in questione fa parte di quelle realizzate sul primissimo server Web, nxoc01.cern.ch, successivamente ribattezzato info.cern.ch, che ospitò anche la prima pagina Web in assoluto, il cui indirizzo originale era http://nxoc01.cern.ch/hypertext/WWW/TheProject.html. Oggi la potete contemplare qui in una versione leggermente modificata.
E a proposito di primissimo server Web, eccone qui accanto una foto: un computer NeXTcube, 8 mega di RAM, 256 mega di disco magneto-ottico, processore a 25 MHz. No, non sono errori di battitura. Confrontate queste specifiche con quelle del vostro attuale computer e chiedetevi perché diavolo continua ad essere lento.
Fra l'altro, la foto non mostra un computer NeXTcube, ma proprio l'esemplare sul quale girarono quelle prime pagine Web: è il computer appartenuto a Tim Berners-Lee e Robert Caillau, i due padri del Web. Quella macchina è la madre. E il papà di NeXTcube è un certo Steve Jobs. Il sistema operativo delle macchine NeXT gettò le basi per Mac OS X.
Il fatto che quell'antica pagina web sia ancora leggibile dai browser e dai computer di oggi nonostante siano passati sedici anni (un'eternità in informatica: nel 1990, se ricordate, furono introdotti i telefonini ETACS in Italia e fu presentato Windows 3.0) è un tributo eccezionale a due concetti spesso trascurati della tecnologia.
Il primo è che gli standard aperti e gratuiti generano ricchezza: fu la scelta di Berners-Lee e Caillau di pubblicare le specifiche, non chiedere royalty e concedere a tutti il libero uso dei loro standard di definizione delle pagine HTML a permettere la rapidissima adozione e diffusione del Web. Chi aveva tentato altre strade "chiuse" per le reti telematiche aveva creato tanti giardini cintati fra loro incompatibili, come Prodigy, Genie, Compuserve e tanti altri nomi che ormai sono stati dimenticati. Internet, invece, resta, e si è dimostrata un volano economico infinitamente più potente di tutti quei costosi giocattoli basati su "standard" inventati a capocchia da ciascuna azienda apposta per non essere compatibili con la concorrenza e fidelizzare a forza il cliente.
Il secondo è che i formati aperti e gratuiti restano leggibili; quelli proprietari no. Provate ad aprire, con i programmi di oggi, un documento scritto sedici anni fa con un programma di grafica o di elaborazione testi: potreste avere seri problemi, se avete usato per quel documento un formato che (come è probabile) non è più supportato dal software attualmente in circolazione. Quella pagina web di sedici anni fa, invece, è perfettamente leggibile. Come faranno gli storici del futuro a capirci, se tutto quello che lasciamo loro in eredità è un'accozzaglia indecifrabile di bit?
La legalizzazione del degrado
Pare proprio che i ministri Turco e Ferrero stiano riuscendo nella non facile impresa di peggiorare la legge Fini-Giovanardi. Del resto, questa strategia di avvicinamento alla legalizzazione delle droghe ingiustamente definite leggere, era stata già annunciata all'insediamento dell'attuale governo.La prima tappa è stata santificare l'uso terapeutico della marijuana, quando la letteratura scientifica più avanzata e i provvedimenti già attuati in altri Paesi - Svizzera, Gran Bretagna, Olanda, Canada e anche Stati Uniti - dimostravano evidenze molto chiare: la prima è che non ha senso somministrare «canne» negli ospedali; la seconda è che le pastiglie di cannabis sintetica costano molto (in Usa otto euro l'una) e dimostrano un'utilità pressoché nulla, tant'è vero che sono poche le case farmaceutiche disposte a scommetterci; terzo è che si è creato, specialmente negli Usa, un mercato nero fiorente di queste sostanze; quarto, è che la cannabis va associata alla morfina sennò è inefficace e che, comunque, esistono altri antidolorifici, o antiemetici o farmaci per accrescere l'appetito molto più efficaci.La seconda tappa è quella a cui abbiamo assistito ieri. I -lettori devono sapere, qualora ritengano che le droghe minano alla radice il processo di crescita dei giovani e rendono.le situazioni di disagio sempre più estreme, che questo provvedimento porta dritto alla legalizzazione. L'unico modo che una legge ha per combattere la diffusione delle droghe è stabilendo un limite certo fra consumo e spaccio e prevedendo, per l'uno, sanzioni amministrative e rieducative e, per l'altro, condanne penali. Se non poniamo questo limite, la figura di consumatore è di fatto indistinguibile da quella dello spacciatore e chiunque, ad esempio, ha grosse quantità di marijuana può con facilità rivendicare la sua condizione di consumatore e non venire sanzionato. È quello che è avvenuto in questi mesi di applicazione della sciagurata legge Giovanardi-Fini, che lasciava anche a chi detenesse grossi quantitativi l'opportunità di evitare il carcere invocando l'uso personale. Altro che ragazzini dentro per uno spinello! Il risultato è stato vedere spacciatori in libertà e, se questo in qualche caso è stato evitato, si deve all'esperienza e alla capacità di quei giudici che non si sono fatti abbindolare dalla strategia difensiva degli spacciatori.Tutto ciò è fortemente peggiorato dal provvedimento del governo che; come rimedio al problema della diffusione della droga nella nostra società, stabilisce che è possibile girare con quaranta «canne». È evidente a tutti che chi le possiede non è il ragazzino adolescente che va in discoteca, che questa decisione del ministro copre moltissimi casi di spaccio e che è un'altra, irresponsabile tappa di avvicinamento al vero obiettivo di questi signori: legalizzare le droghe in questo Paese. Famiglie, scuole, educatori, società civile, svegliatevi e state in guardia. C'è di che temere.Un'ultima considerazione. Sarà che il mio punto di vista è particolare, ma a me sembra che, paradossalmente, le persone con più possibilità di essere presenti a se stesse e alla realtà (di cui hanno una visione profonda ed obiettiva) siano proprio quelli che provengono dalla strada, dal carcere e da situazioni di droga e che vogliono risollevarsi. Ciò avviene perché si rendono conto che la loro vita non può essere riempita dai miti dell'immagine, del successo e del denaro, ma che si è tanto più ricchi quanto più riusciamo a costruire rapporti umani profondi e significativi. Il fatto che dobbiamo sprofondare nel degrado prima di renderci conto che quello che più conta sono i sentimenti, è veramente sintomo della nostra straordinaria decadenza.
"Una innovazione tecnologica che rompe i privilegi di una casta, aprendo la possibilità di un gesto a una popolazione nuova."
Google è un motore di ricerca. Il più famoso, amato, e usato motore di ricerca del mondo. Un motore di ricerca è uno strumento inventato per orientarvi nel mare dei siti web. Voi scrivete cosa vi interessa ("lasagne") e lui vi dà la lista di tutti, dico tutti i siti in cui si parla di lasagne (3 milioni 36° mila, per la cronaca). Oggi, sul pianeta terra, se un umano accende un computer, nel 95% dei casi lo fa per effettuare una di queste due operazioni: scambiare mail e consultare un motore di ricerca (così, en passant, annoto che una volta su quattro, quando un umano mette una parola in un motore di ricerca, quella parola ha a che fare con sesso e pornografia. Che allegroni!). Va detto che non è sempre stato così. Per quella singolare forma di miopia che contraddistingue lo sguardo di tutti i profeti che ci azzeccano, i primi padroni del web intuirono che ci saremmo fatti di mail, ma esclusero che saremmo andati ad usare quella roba senza senso che era un motore di ricerca. Credo che avessero in mente il famoso ago nel pagliaio: non aveva senso cercare le cose in quel modo. Quello a cui credevano erano i portali: una delle idee che ha fatto perdere più soldi negli ultimi dieci anni. Credevano cioè che tutti ci saremmo cercati un nostro fornitore di fiducia e a lui avremmo chiesto tutto: previsioni meteo, foto di Letizia Casta nuda, news, musica, film e naturalmente anche la ricetta delle lasagne. Saremmo cioè entrati nell'immenso oceano del web, scegliendo una porta particolare, a noi congeniale, che poi ci avrebbe indirizzato. Il portale, appunto. Oggi, pare, quasi nessuno si sogna di fare così. Non ci siamo cascati! (Spiegatemi perché dovrei farmi dire che tempo fa domani da Virgilio quando posso andare direttamente in un sito Meteo, senza dovermi sorbire tutta quell'altra paccottiglia: così abbiamo più o meno pensato). Insomma, non ci credevano: e mentre spendevano cifre da capogiro per i portali, i motori di ricerca languivano, facendo acqua da tutte le parti, e aspettando il momento di sparire.
Quel che successe poi, fu che un paio di studenti cazzoni dell'Università di Stanford, stufi di usare Altavista perdendo il propio tempo, pensarono che era giunta l'ora di inventare un motore di ricerca come dio comanda. Andarono dal loro professore e gli dissero che quella sarebbe stata la loro ricerca di dottorato. Molto interessante, disse lui, poi dovette aggiungere una cosa tipo E adesso a parte gli scherzi ditemi cosa avete in mente di fare. Non gli sfuggiva che per programmare un motore di ricerca bisognava, innanzitutto, scaricare l'intero web su un computer. Se non hai un mazzo di carte in mano, un mazzo con tutte le carte, non puoi inventare un gioco di bravura con cui trovarne una. Nel caso specifico si trattava di scaricare qualcosa come 300 milioni di pagine web. Ma in effetti non si sapeva nemmeno con esattezza fino a dove si spingesse il grande oceano, e tutti sapevano che ogni giorno disegnava spiagge nuove. Al prof dovette apparire chiaro che quei due gli stavano proponendo di circumnavigare il globo su una vasca da bagno. La vasca da bagno era il computer assemblato che tenevano in garage.
Io me lo vedo che si lascia andare contro lo schienale e allungando le gambe chiede con un sorrisetto da barone: Intendete per caso scaricare l'intero web?
Lo stiamo già facendo, risposero loro.
Applausi.
...
I DUE RAGAZZI americani che, contro ogni buon senso, stavano scaricando nel loro garage l'intero web si chiamavano Larry Page e Sergey Brin. Ai tempi avevano 23 anni. Facevano parte della prima generazione cresciuta tra i computer: gente che già alle elementari viveva con una mano sola perché l'altra era avvitata sul mouse. In più venivano entrambi da famiglie di insegnanti o ricercatori informatici. In più studiavano alla Silicon Valley. In più avevano due cervelli micidiali (nel senso di uno a testa, si intende). Adesso noi siamo colpiti dal fatto che poi, in cinque anni, i due siano riusciti a guadagnare qualcosa come 20 milioni di dollari: ma è importante capire che, all'inizio, non erano i soldi quello che cercavano.
Quel che avevano in mente era un obiettivo tanto candidamente folle quanto semplicemente filantropico: rendere accessibile tutto il sapere del mondo: accessibile a chiunque, in modo facile, veloce e gratuito. Il bello è che ci sono riusciti. La loro creatura, Google, è di fatto quel che di più simile all'invenzione della stampa ci sia stato dato di vivere. Quei due sono gli unici Gutenberg venuti dopo Gutenberg. Non la sparo grossa: è importante che capiate che è vero, profondamente vero. Oggi, usando Google, ci vuole una manciata di secondi e una decina di click perché un umano dotato di comuter acceda a qualsiasi insenatura del sapere. Sapete quante volte gli abitanti del pianeta Terra faranno quell'operazione oggi, proprio oggi? Un miliardo di volte. Più o meno centomila ricerche al secondo. Avete in mente cosa significa? Percepite l'immane senso di "liberi tutti", e sentite le urla apocalittiche dei sacerdoti che si vedono scavalcati e improvvisamente inutili?
Lo so, l'obbiezione è: quel che sta in rete, per quanto enorme sia la rete, non è il sapere.
...
Dico questo per spiegare che se qui parliamo di Google non stiamo parlando di una robetta curiosa o di una esperienza come un'altra, tipo il vino o il calcio. Google non ha nemmeno dieci anni di vita, ed è già nel cuore della nostra civiltà: se tu lo spii non stai visitando un villaggio saccheggiato dai barbari: sei nel loro accampamento, nella loro capitale, nel palazzo imperiale. Mi spiego? È da 'ste parti che, se c'è un segreto, tu puoi trovarlo.
Così diventa importante capire cosa, esattamente, fecero quei due che nessuno prima aveva immaginato. La risposta giusta sarebbe: molte cose. Ma è una, in particolare, quella che, per questo libro, sembra rivelativa. Provo a spiegarla. Per quanto possa sembrare strano, il vero problema, se vuoi inventare un motore di ricerca perfetto, non è tanto quello di dover scaricare un database di 13 miliardi di pagine web (tante sono, oggi). In fondo, se stipi migliaia di computer in un hangar e sei uno nato con Windows, ce la puoi fare serenamente. Il vero problema è un altro: una volta che hai isolato in mezzo a quell'oceano i tre milioni e passa di pagine web dove compare la parola lasagne, come fai a metterle in un qualsiasi ordine che faciliti la ricerca? È chiaro che se le sbatti lì, a caso, tutto il tuo lavoro è vano: sarebbe come far entrare un poveretto in una biblioteca in cui ci sono tre milioni di volumi (sulle lasagne) e poi dirgli: arrangiati un po' tu. Se non risolvi quel problema, il sapere rimane inaccessibile, e i motori di ricerca, inutili.
Quando Brin e Page iniziarono a cercare una soluzione, avevano chiaro in mente che gli altri, quelli che già ci stavano provando, erano lontani dall'averla trovata. In genere, lavoravano sulla base di un principio molto logico, anzi troppo logico, e, a pensarci adesso, tipicamente pre-barbaro, quindi antico. In pratica si fidavano delle ripetizioni. Più volte compariva in una pagina la parola richiesta, più quella pagina saliva nelle prime posizioni. Concettualmente, è una soluzione che rinvia a un modo di pensare classico: il sapere è dove lo studio è più approfondito e articolato. Se uno ha scritto un saggio sulla lasagna, è probabile che il termine lasagna ricorra molte volte, e quindi è lì che il ricercatore viene spedito. Naturalmente, oltre ad essere obsoleto, il sistema faceva acqua da tutte le parti. Un saggio scemo sulla lasagna, in quel modo, figurava molto prima di una semplice, ma utile, ricetta. Inoltre, come potevi difenderti dal sito personale del signor Mario Lasagna? Era un inferno. Ad Alta Vista (il motore di ricerca migliore, ai tempi) reagirono con una mossa che la dice lunga sul carattere conservatore di quelle prime soluzioni: pensarono di attivare degli editor che si studiassero i tre milioni di pagine sulle lasagne, e poi le mettessero in ordine di rilevanza. Anche un bambino avrebbe capito che non poteva funzionare. Però ci provarono, e per noi questo segna un'importante pietra miliare: è l'ultimo disperato tentativo di affidare all'intelligenza e alla cultura un giudizio sulla rilevanza dei luoghi del sapere. Da lì in poi, sarebbe stato tutto diverso. Da lì in poi, c'erano le terre dei barbari.
De Castro firma decreto per vietarne uso nei Doc e Docg (ANSA) - ROMA, 2 nov - Stop al 'vino pinocchio', quello fatto utilizzando trucioli di rovere per l'invecchiamento, per i vini a denominazione Doc e Docg. Lo prevede il decreto firmato dal ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Paolo De Castro, a pochi giorni dall'approvazione del Regolamento Comunitario 1507/2006. Ogni Stato Ue potra' pero' adottare misure piu' restrittive. Critica la Coldiretti secondo cui 'si dara' il via libera all'uso dei trucioli per il 70% del vino italiano'.
Il regolamento europeo, infatti, ha dato il via libera all’uso dei trucioli di rovere nella lavorazione enologica, senza alcun obbligo di segnalazione in etichetta. L’unico obbligo previsto dalla normativa comunitaria è quello di non poter riportare in etichetta formule del tipo «fermentato, invecchiato, maturato in barrique o in fusti di quercia».
De Castro: «Con il decreto firmato diamo garanzie per la competitività futura delle nostre cantine di qualità».
Coldiretti: «Un patrimonio di immagine per le imprese nazionali che va difeso nei confronti delle imitazioni e della concorrenza sleale fondata sulla mancanza di trasparenza nell'informazione sulle caratteristiche dei prodotti in riferimento alle modalità di invecchiamento e alle tecniche utilizzate, come l'utilizzazione dei trucioli per invecchiare il vino che, senza un'etichettatura trasparente, inganna i consumatori e danneggia i produttori impegnati nel mantenimento di tecniche tradizionali, quali la maturazione dei vini in botti di legno».
Andrea Sartori: “Una scelta equilibrata quella del ministro Paolo De Castro – afferma il presidente della Confederazione Italiana della Vite e del Vino – Uiv. Ora ci auguriamo che ai vini a indicazione geografica (Igt), oltre che naturalmente ai vini da tavola tal quali, venga lasciata la possibilità di fare ricorso a questa diffusa pratica enologica”.